La firma digitale è l’alternativa elettronica alla firma che viene apposta in un documento cartaceo al fine di autenticarlo. Per farlo si usa un particolare certificato personale, che usa un sistema basato su chiavi asimmetriche di cui una è pubblica e una privata. Utilizzando queste chiavi, si ha la possibilità di verificare in maniera puntuale l’effettiva provenienza dei documenti e la loro integrità, in quanto qualsiasi modifica apportata al documento, dopo l’apposizione della firma digitale, invalida la stessa.
Solitamente, un certificato ha una validità di 3 anni. Poniamo ad esempio che il vostro certificato abbia scadenza il 20 Marzo 2020 e vi ritrovate a firmare un documento il 19 Marzo 2020, il documento sarà assolutamente valido, in quanto il vostro certificato non è ancora scaduto, però potreste ritrovarmi in una casistica di falso non valido.
Se con un apposito software (tipo Dike o aruba sign) o tramite alcuni siti online che offrono il servizio di verifica, si volesse verificare la validità del certificato, in una data successiva al giorno di apposizione della firma, ad esempio nel nostro caso il 22 Marzo, il sistema (software o sito web) ci dirà che la firma è scaduta.
Qualcuno potrebbe contestarvi, secondo l’art. 21, comma 5, del Codice dell’Amministrazione Digitale, che l’apposizione di una firma digitale il cui certificato sia scaduto equivale a mancata sottoscrizione.
Non è, tuttavia, questo il caso: il documento viene firmato durante il regime di validità della firma, pertanto la sua sottoscrizione non può essere messa in discussione sul piano sostanziale.
Se proprio vogliamo essere pignoli il problema si potrebbe sposta sul piano probatorio.
Infatti, occorre dimostrare che la data di apposizione della firma cade nel periodo di validità della stessa: cosa che può essere ottenuta apponendo un riferimento temporale, opponibile a terzi sul documento, quale ad esempio una marca temporale.
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